Una ricerca inglese

di P.A. Filipek e altri, USA
Traduzione: Servizio NPI - AUSL di Rimini

Allo stato attuale, molti sono i vantaggi derivanti da una diagnosi precoce di autismo; essi includono la pianificazione e i trattamenti educativi precoci, il provvedere all'aiuto e all'educazione della famiglia, la riduzione dello stress e delle preoccupazioni famigliari e la messa in atto di appropriate cure mediche per il bambino (Cox et al, 1999).

La rete sanitaria e le agenzie educative rivolte all'infanzia, devono aspettarsi di incontrare bambini con autismo. Sebbene i sintomi di autismo possano essere presenti durante il primo anno di vita in bambini diagnosticati solo successivamente come autistici, ed alcuni sintomi siano virtualmente sempre presenti prima dei tre anni, molto spesso l'autismo non è diagnosticato fino a due o tre anni dopo la comparsa dei primi sintomi.
Gli individui autistici a volte non hanno diagnosi o non vengono diagnosticati accuratamente.
Molti medici esitano a discutere la possibilità di una diagnosi di autismo con i genitori di bambini piccoli, anche se in presenza di sintomi chiari, perché sono preoccupati di causare ansietà in famiglia e di ottenere, etichettando un bambino, effetti contrari, oppure perché sono preoccupati della possibilità di non essere corretti, o forse sperando che i sintomi si modificheranno con il tempo.
Si ritiene che comunque i risultati positivi, derivanti da una diagnosi accurata, pesino molto di più degli effetti negativi, e le famiglie esprimono universalmente il desiderio di essere informate sulle condizioni del bambino il prima possibile (Marcus & Stone, 1993).

Le attività di screening sono cruciali per le diagnosi precoci. Lo scopo dello screening è l'identificazione, il prima possibile, dei bambini a rischio di autismo, affinché possano essere indirizzati rapidamente a valutazioni diagnostiche complete e agli interventi necessari. La spinta all'identificazione precoce deriva dall'evidenza, riscontrata negli ultimi dieci anni, che interventi intensivi precoci in setting educativi ottimali, producono risposte migliori in molti bambini piccoli autistici, includendo l'eloquio nel 75% o più, e specifici miglioramenti nello sviluppo e nelle performance intellettuali (Dawson & Osterling, 1997; Rogers, 1996, 1998). Tali risultati sono comunque stati documentati solo in bambini che hanno ricevuto per più di due anni servizi intensivi di intervento durante l'età prescolare (Anderson, Avery, Dipietro, Edwards, & Christian, 1987; Anderson, Campbell, & Cannon, 1994; Fenske, Zalenski, Krantz, & McClannahan, 1985; Hoyson, Jamieson, & Strain, 1984; Lovaas, 1987; McEachin, Smith, & Lovaas, 1993; Ozonoff & Cathcart, 1998). Lo screening e l'identificazione precoci sono dunque cruciali per migliorare le risposte nei bambini autistici (Hoyson et al, 1984; McEachin et al, 1993; Rogers, 1996, 1998, in stampa; Rogers & Lewis, 1989; Sheinkopf & Siegel, 1998).

Howlin and Moore (1997) descrivono le esperienze diagnostiche di quasi 1.300 famiglie con bambini autistici provenienti dal Regno Unito. In questo studio, l'età media dei bambini diagnosticati non è inferiore ai sei anni (mentre negli Stati Uniti l'età media è di tre-quattro anni), malgrado il fatto che quasi tutti i genitori abbiano avuto la sensazione di un qualcosa che non andasse nei loro piccoli, mediamente, entro i 18 mesi ed abbiano ricercato assistenza medica, per la prima volta, entro i 2 anni di età del bambino.
I genitori britannici riportano che, malgrado problemi in almeno tre diverse aree di sviluppo, a meno del 10% dei bambini è stata data una diagnosi alla presentazione iniziale. Circa il 90% è stato inviato ad un altro professionista (all'età media di 40 mesi). Di questi al 25% è stato detto niente meno 'di non preoccuparsi'. Nel rimanente 10%, a più di metà dei casi è stato chiesto di ritornare se le loro preoccupazioni fossero continuate, e al restante, che il bambino 'sarebbe uscito dalla situazione crescendo'.

TABELLA ESITI
prima visita
rinviati dopo la prima visita ad altro professionsta.
ulteriore visita (terza o quarta), dopo le prime due infruttuose.

Delle famiglie inviate ad un secondo professionista, solo al 40% viene data una diagnosi formale, mentre il 25% è ancora una volta rinviato ad un terzo o quarto esperto. Circa il 25% delle famiglie è stato infine rassicurato anche dai secondi professionisti che hanno detto di non preoccuparsi: nei casi migliori l'attività dei medici è consistita nella acquisizione dei dati senza però l'attuazione di nessuna azione ulteriore.
Circa il 20% delle famiglie ha affermato di aver dovuto esercitare anche forti pressioni per ottenere i referti dalle strutture pubbliche o pagare professionisti privati.
Più del 30% dei genitori inviati ad esperti successivi ha dichiarato di non aver ricevuto da loro nessun aiuto (es. di tipo educativo, terapeutico o di riferimenti a gruppi di supporto per genitori), e solo circa nel 10% dei casi un professionista ha spiegato loro i problemi del bambino.
Circa metà delle famiglie ha riportato che il sistema scolastico e gli altri genitori, piuttosto che la comunità medica, sono stati, per certi periodi di tempo, la loro maggior fonte di assistenza.

Howlin & Moore (1997) concludono che:
(a) le preoccupazioni precoci genitoriali sullo sviluppo del bambino dovrebbero essere prese in considerazione più seriamente, sia dal pediatra di base che dai professionisti specializzati, con rapidi referti ed appropriate strutture di riferimento,
(b) etichette, come 'tendenze autistiche' o 'tratti autistici' dovrebbero essere evitate se si è incapaci di dare una specifica diagnosi di autismo, e che
(c) la diagnosi in se stessa può essere un gradino importante ma non migliorerà la prognosi se non combinata con aiuto pratico e supporto assistenziale ai genitori nell'ottenere trattamenti per il bambino, indirizzati allo sviluppo di abilità e strategie applicabili durante tutta la vita del soggetto.

 © Autismo Sardegna  onlus affiliata Autismo Italia


 

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